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Corte di Cassazione Sez. Unite, Sentenza n. 486 del 13/01/2006

Il possesso del titolo di giudice onorario non è compreso tra i dati che l'art. 17, comma secondo, lettera a), del codice deontologico forense consente all'avvocato d'inserire nella carta intestata utilizzata per lo svolgimento dell'attività professionale, trattandosi di un'informazione che non attiene alla professione di avvocato, ma all'esercizio di un'attività profondamente diversa, tanto da risultare incompatibile nel medesimo ambito territoriale.



(Autorità Garante per la protezione dei dati personali)
Albi professionali e sanzioni disciplinari
Non viola la privacy dare notizia anche on line dell’esistenza di un provvedimento disciplinare 
Non viola la privacy dare notizia dell’esistenza di un provvedimento disciplinare adottato nei confronti di professionisti, notai, avvocati, ingegneri. Ordini e collegi professionali possono affiggere nell’albo e pubblicare sulle loro riviste sia cartacee, sia on line le sanzioni disposte nei confronti dei loro iscritti e darne comunicazione ad amministrazioni pubbliche o a privati che lo richiedano. 
I principi, già stabiliti dal Garante in precedenti provvedimenti, sono stati ribaditi nei pareri resi al Consiglio nazionale degli ingegneri e a un consiglio notarile provinciale. I due ordini si erano rivolti al Garante per ottenere chiarimenti sulla divulgazione delle sanzioni disciplinari, dopo che loro iscritti ne avevano contestavano la legittimità, in un caso la sanzione era stata diffusa in Internet, lamentando anche possibili danni professionali. 
Già nei provvedimenti riferiti alla professione forense e a quella di geometra, ma contenenti principi validi anche per altre professioni, il Garante aveva ritenuto legittima la divulgazione del provvedimento del consiglio dell’ordine che disponga la sospensione dalla professione e ciò a fini di tutela dei terzi. 
Questa impostazione è ora confermata dall’articolo 61 del Codice in materia di protezione dei dati personali il quale sancisce espressamente che nelle comunicazioni a soggetti pubblici o privati, o in sede di diffusione, anche on line, di dati inseriti nell’albo professionale, può anche essere «menzionata l’esistenza di provvedimenti che dispongono la sospensione o che incidono sull’esercizio della professione». La disciplina sulla privacy, non ha quindi modificato la ratio della normativa relativa agli albi professionali che, per loro stessa natura, sono destinati ad un regime di pubblicità, anche in funzione della tutela dei diritti di coloro che a vario titolo hanno rapporti con gli iscritti all’albo. Con l’entrata in vigore del nuovo Codice, inoltre, ordini e collegi professionali, su richiesta dell’iscritto, possono integrare i dati riportati sugli albi con ulteriori informazioni, purché pertinenti all’attività svolta.


CORTE DI CASSAZIONE CIVILE
Sez. un., 8 marzo 2006, n. 4893
Pres. Olla - Est. Papa - Ric. G. F.
Per effetto della modifica dell’art. 653 c.p.p. operata dall’art. 1 della legge n. 97 del 2001, applicabile in virtù della norma transitoria di cui all’art. 10 della predetta legge ai procedimenti in corso all’atto della sua entrata in vigore, l’efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare della sentenza penale di assoluzione è stata estesa, oltre alle ipotesi di assoluzione “perché il fatto non sussiste” o “perché l’imputato non l’ha commesso”, a quella “perché il fatto non costituisce reato”. Ne consegue che, qualora l’addebito disciplinare abbia ad oggetto i medesimi fatti contestati in sede penale, si impone, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., la sospensione del giudizio disciplinare in pendenza di quello penale, atteso che dalla definizione di quest’ultimo può dipendere la decisione del procedimento disciplinare.
Svolgimento del processo. - 1. - L’avvocato G. F., da tempo legale del Gruppo B., a seguito di complesse vicende professionali con i coniugi R. B. e M. R., venne, su denunzia di questi ultimi, sottoposto a procedimento penale per i reati di falsità materiale continuata in atti pubblici (per avere contraffatto la sentenza 1943/95, apparentemente emessa dal Tribunale vietnamita di Ho Chi Min Ville il 21 giugno 1995 - con relativa attestazione di conformità - e la conseguente sentenza di delibazione, apparentemente emessa dalla Corte di appello di Roma il 29 aprile 1996 - con apposizione delle false firme dei giudici e del cancelliere e con la falsa relazione di notificazione dell’ufficiale giudiziario); truffa aggravata (per avere prospettato ai clienti la bontà di un’azione giudiziaria all’estero, intesa a conseguire la declaratoria di nullità di una adozione ivi eseguita, percependo una parcella di lire 750 milioni); nonché di falso, truffa ed appropriazione indebita aggravata (con riguardo ad altri incarichi non svolti ma comunque remunerati).
2. - Pervenuta la relativa comunicazione, il 18 gennaio 2001, al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati (C.O.A.) di Roma, ed intrapreso - giusta delibera del Commissario straordinario del 23 seguente - il conseguente procedimento disciplinare a carico del professionista, lo stesso si concludeva con decisione del 12 giugno 2003, depositata col n. 52/2003 il 24 luglio successivo. Il C.O.A. dichiarava la responsabilità dell’incolpato limitatamente ai capi a) e b), infliggendogli la sanzione disciplinare della radiazione dall’albo.
3. - Impugnava il professionista (oltre che con ricorso anteriore al deposito della decisione, definitivamente dichiarato inammissibile), con (altro) rituale ricorso, dolendosi della mancata sospensione del procedimento in attesa della definizione del processo penale; della mancata integrale acquisizione di atti ritenuti rilevanti; della violazione del principio del contraddittorio, per mancata previa audizione dell’incolpato; della carenza di idonea motivazione in ordine alla affermata responsabilità disciplinare; della nullità della decisione per illegittima composizione del collegio con riguardo alla sostituzione del relatore; del mancato accoglimento dell’eccezione di prescrizione; della mancata pronuncia circa la revoca del provvedimento, chiesta dopo il deposito della motivazione.
Con la decisione indicata in epigrafe, il Consiglio Nazionale Forense (C.N.F.) ha respinto l’impugnativa dell’avv. G. F..
4. Ricorre quest’ultimo, con dieci motivi e con contestuale istanza di sospensione d’esecutività della decisione, il tutto illustrato da memoria ed, all’esito della discussione, da brevi osservazioni per iscritto sulle conclusioni del pubblico ministero.
Gli intimati non svolgono attività difensiva.
Motivi della decisione. - 5. - Il professionista ricorrente muove alla decisione impugnata la censure che seguono.
1) "Prescrizione del procedimento disciplinare ai sensi dell’art. 51 r.d.l. n. 1578 del 1933 (come modificato dalla L. n. 34 del 1934)": deduce che, come emerge dalla sentenza penale frattanto intervenuta, "i fatti denunciati nei capi a) e b) del procedimento penale e nelle contestazioni disciplinari risalgono al 1994 o al massimo al 1995", con la conseguenza che il termine quinquennale stabilito per l’inizio del procedimento disciplinare era ormai decorso alla data del 23 gennaio 2001, di apertura del procedimento disciplinare; tanto che anche il pubblico ministero, in sede di dibattimento davanti al C.N.F. aveva concluso per l’accoglimento del motivo riguardante la prescrizione.
2) "Sopravvenienza, in data successiva, di un giudicato penale con assoluzione piena, di segno contrario al provvedimento impugnato. Necessità di applicazione dell’art. 653 c.p.p.". Sollecita, per tale via, l’applicazione dell’art. 653 c.p.p., nel testo novellato dalla legge 97/2001, richiamando la assoluzione, in sede penale - giusta sentenza del Tribunale di Roma, intervenuta alla udienza del 19 maggio 2004 e passata in giudicato, come da certificazione apposita - da tutte le imputazioni, rispettivamente perché il fatto non costituisce reato e perché il fatto non sussiste.
3) "Mancanza assoluta di motivazione in ordine al rigetto dell’istanza di sospensione del ricorso, formulata con l’atto di impugnazione del 22 settembre 2003 e ribadita nelle conclusioni e nel processo verbale di dibattimento del 29 gennaio 2004, in attesa dell’esito del giudizio penale fissato per il 28 febbraio 2004, con contestuale assoluta illogicità della motivazione del provvedimento stesso; violazione dell’art. 111 Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale n. 2 del 1999, dell’art. 132 n. 4 c.p.c. e art. 606, lettera e) c.p.c.". Dopo aver rilevato che la identità tra i capi di imputazione e le incolpazioni a suo carico non consente la "anomalia" del coesistere di una assoluzione in ordine ai primi e della radiazione dall’albo professionale in relazione alle seconde, si duole che tale anomalia sia dipesa dall’omessa motivazione circa il rigetto della istanza di rinvio, in attesa che si definisse il processo penale.
4) "Nullità ex art. 606 lettere b) ed e) c.p.p. per erroneità ed omesse motivazioni in ordine al primo motivo d’impugnazione inerente il diniego da parte del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma di sospensione del procedimento disciplinare in pendenza di un processo penale avente ad oggetto il medesimo fatto; violazione dell’art. 111 Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale n. 2 del 1999": il motivo ripete la doglianza che precede, sotto il profilo del mancato accoglimento della censura - mossa, sempre in termini di mancata sospensione - al provvedimento del C.O.A. impugnato.
5) "Omessa acquisizione integrale di atti rilevanti ed omessa viziata valutazione di prove; omessa pronuncia da parte del C.N.F. sull’espressa richiesta di rinnovazione dell’istruttoria disciplinare e sull’acquisizione di atti e documenti; violazione dell’art. 111 Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale n. 2 del 1999 e 606 lettera d) c.p.p.". La censura attiene alla mancata acquisizione di documenti del procedimento penale, soprattutto con riferimento alla falsità di atti "mai visti né acquisiti".
6) "Omessa istruttoria disciplinare e vizio del procedimento e della decisione per omessa audizione dell’incolpato in primo grado; violazione dell’art. 3 e dell’art. 24 della Costituzione; violazione dell’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo". La critica riguarda l’erronea valutazione dell’impedimento - ritenuto non "assoluto" - dell’incolpato, a comparire davanti al C.O.A..
7) "Difetto o carenza di motivazione sui capi contestati; contraddittorietà della motivazione; ingiustizia ed abnormità della sanzione inflitta; vizio di eccesso di potere". Si insiste, dal ricorrente, sulle carenze di ordine probatorio, tanto più in relazione alle emergenze del processo penale.
8) "Omessa pronuncia sull’eccezione di nullità della composizione del Collegio giudicante di primo grado e violazione del principio di immutabilità del Collegio; vizio della deliberazione collegiale; error in procedendo; violazione dell’art. 97 Costituzione e dell’art. 111 Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale n. 2 del 1999, dell’art. 63 r.d. n. 37 del 1934, legge n. 517 del 1955 e legge n. 534 del 1977 e art. 185, commi 2 e 3, c.p.p.; violazione della legge n. 241 del 1990 e successive modificazioni". Il professionista ulteriormente censura la decisione del C.N.F.: a) per non avere considerato l’impossibilità di verificare la regolare convocazione dei componenti del C.O.A., previa acquisizione della relativa documentazione; b) per avere omesso di pronunciarsi circa le modifiche nella composizione del collegio nel corso del procedimento; c) per avere ignorato l’irregolare sostituzione del consigliere relatore; d) per non avere considerato la illegittimità della decisione del C.O.A., per la mancata indicazione del quorum deliberativo, resa invece necessaria dal “rispetto delle regole di trasparenza e di legalità dell’azione amministrativa”.
9) "Incompetenza del C.N.F. per mutamento della composizione del collegio giudicante tra la data del dibattimento (29.1.2004) e la data della decisione stessa (3.5.2005)": ritiene il ricorrente che la circostanza comporti nullità della decisione.
10) "Illegittimità dell’art. 22, comma 2 del D.Lgt n. 382 del 1944, norme sui Consigli degli ordini e Collegi sulle Commissioni centrali professionali; violazione dell’art. 111 Costituzione; violazione delle norme sul giusto processo di cui all’art. 111 Costituzione, come modificato dalla legge costituzionale n. 211 del 1999: sotto tale ultimo profilo, il ricorrente formula eccezione di legittimità costituzionale del citato art. 22, comma 2, denunciandone il contrasto con gli artt. 3, 24, 104, 105, 106, 108 e 111 Costituzione, in quanto, stabilendo per la validità delle sedute del C.N.F. la presenza di almeno un quarto dei componenti, violerebbe il principio di uguaglianza, il diritto di difesa ed il principio del giudice naturale precostituito per legge, rendendo incerta la composizione del collegio, in contrasto con le norme della Costituzione e dell’ordinamento giudiziario, anche con riguardo al giusto processo".
Deducendo, infine, la gravità della sanzione della radiazione, in rapporto alla molteplicità delle censure, lo stesso ricorrente formula istanza di sospensione della esecutività della decisione impugnata, in attesa della pronuncia delle Sezioni unite: fissata, per l’esame di tale istanza, l’udienza camerale odierna, il fascicolo è stato previamente riunito a quello (principale) di merito.
6. - Per primo va esaminato, stante il suo carattere di pregiudizialità logica, il terzo motivo di ricorso.
6.1. - Esso si presenta fondato.
6.2. - Emerge dalla decisione impugnata (p. 13 e seg.) che "l’avvocato F. era imputato dei reati di falso continuato, truffa ed appropriazione indebita pluriaggravata, commessi in Roma fino al novembre 1996, e di falso, appropriazione indebita e truffa accertati in Roma nel settembre 1998", e che "con provvedimento in data 24 gennaio 2001, il Commissario Straordinario deliberava quindi l’apertura di procedimento disciplinare nei confronti dell’avvocato F. per gli stessi fatti a lui addebitati in sede penale, ritenuti lesivi delle prerogative e delle funzioni di un appartenente all’ordine Forense, e pertanto non conformi alla dignità e al decoro professionale (art. 38 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578)". Proprio con riferimento a tali imputazioni si era del resto pronunciato il C.O.A. di Roma, dichiarando “la responsabilità dell’incolpato limitatamente ai capi a) e b)” (ivi, p. 17), con statuizione confermata dalla decisione ora impugnata.
In relazione a tanto, il professionista, dopo avere - senza esito - richiesto al C.O.A. la sospensione del giudizio disciplinare, in attesa dell’esito di quello penale, risulta avere formulato anche un motivo di impugnazione davanti al C.N.F. (decisione, p. 20), ripetendo l’istanza medesima in tale sede (ivi, p. 2). E, sul punto, nella decisione ora impugnata si legge; "infondata è anche la terza censura attraverso la quale il ricorrente si duole della mancata sospensione del procedimento disciplinare in attesa della mancata definizione di quello penale
vertente sui medesimi fatti, nota essendo l’ormai costante giurisprudenza, dalla quale non vi è ragione di discostarsi, che afferma il principio della piena autonomia dei giudizi" (ivi, p. 25).
6.3. - L’orientamento giurisprudenziale richiamato, da condividere con riferimento al previgente testo dell’art. 657 c.p.p., va necessariamente sottoposto a revisione, per effetto della riforma apportata dall’art. 1 della legge 27 marzo 2001 n. 97 (norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche), in vigore alla data della decisione impugnata ed applicabile ai procedimenti disciplinari in corso (essendo quello in esame iniziato il 24 gennaio 2001) in virtù della norma transitoria dell’art. 10 comma 1 della stessa legge.
La precedente disposizione stabiliva l’efficacia di giudicato, nel giudizio disciplinare, della sentenza penale di assoluzione pronunciata a seguito di dibattimento "quanto all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso". Quella successiva - oltre ad eliminare la limitazione alla sentenza dibattimentale - ha ampliato tale efficacia, aggiungendo alle ipotesi indicate quella della assoluzione perché il fatto “non costituisce illecito penale”.
Che si tratti di un effetto preclusivo più ampio è di immediato apprezzamento; ed, allo stesso modo, un effetto cosi ampio non potrà essere negato - alla sola stregua del precedente orientamento - in ipotesi di addebito disciplinare per i medesimi fatti contestati in sede penale. Onde, in caso di pendenza del procedimento penale, la sospensione si impone, a mente dell’art. 295 c.p.c., in quanto dalla definizione del procedimento penale può dipendere, ai sensi del citato art. 653 c.p.p., quella del procedimento disciplinare.
La soluzione appare tanto più necessitata, nel caso in esame, se si consideri che la sentenza penale (di assoluzione) è intervenuta circa quattro mesi dopo la decisione del C.N.F., e che l’eventuale giudicato esterno non appare suscettibile di apprezzamento (per la prima volta) in sede di legittimità.
6.4. - Dall’accoglimento del motivo deriva l’assorbimento delle restanti censure, nonché della istanza di sospensione d’efficacia della decisione impugnata.
In relazione a tanto, quest’ultima va cassata, con rinvio, per il necessario nuovo esame, anche alla stregua della sentenza penale frattanto intervenuta, al C.N.F..
Le ragioni della decisione costituiscono giusti motivi di compensazione delle spese della presente fase. (Omissis)